lunedì 24 agosto 2009

staring at the sea. first past.

Mi piaceva costruire imperi di plastica con le lego. Piccoli universi popolati da gioiosi omini vestiti sempre di nero. Sorridenti nel lutto. Senza armi. Senza particolari ambizioni belliche di rovinosa espansione territoriale. Circumnavigati da grandi muri geometricamente impeccabili innalzati non con scopo difensivo, semplicemente col fine di nascondersi, di celarsi, di non diffondere quei loro sorrisi nel resto del mondo, che la gioia non si esporta mai.

Mi piaceva costruire imperi di plastica con le lego. E immediatamente distruggerli. Guardarli dall’alto cedere sotto i colpi rapaci comandati da occhi inespressivi. Abitanti briosi piegarsi sotto la violenza di un dio non vendicativo. Ma cattivo. Sotto lo sguardo di un dio più inanimato di loro. Cadere nell’inferno dei giocattoli difettosi. Delle merendine scadute. Figli di un dio inferiore. Incapaci di gemere di fronte all’ira del loro creatore. Mentre sorridevano nella morte. Speravo insensatamente di vedere il grigio delle costruzioni tingersi del sangue degli abitanti prigionieri del loro regno (ho sempre pensato che la bellezza dei colori debba avere un suo prezzo da pagare, a volte altissimo). Era qualcosa di più supremo di semplice rabbia. Martiri del mio divertimento, immolati per la mia noia. L’imperfezione prendeva forma. Le forme geometriche cedevano all’asimmetria. Nessun muro era abbastanza testardo da resistere. Creati per essere distrutti. Non ho mai pianto per loro; non gli ho mai reso un’anima. È in quel periodo che ho cominciato a perdere la fede. È stato semplice; un processo naturale.